La recente nomina dei ministri e delle, poche, ministre, ci ha portato a una riflessione come Associazione Orlando.
Non è nostra intenzione qui riprendere il tema “quote rosa”, poiché non è questo il punto da evidenziare in questo frangente.
Non è per noi una questione di numeri (per quanto evidente), ma una preoccupazione che deriva dal fatto che la carenza di una rappresentanza in ruoli di livello, in ministeri per essere precise “con portafoglio”, per l’area che possiamo definire progressista, potrebbe a nostro avviso riassumersi in una carente rappresentazione delle politiche delle donne e per le donne.
Un tale vuoto rischia di ridurre e limitare la giusta espressione di una visione di genere certo nella politica, ma soprattutto nella e per la società e ci induce a riflettere sul ruolo tuttora subordinato delle donne in Italia e sul fatto che il confronto con altri paesi europei si presenti in una prospettiva ancora fortemente negativa e squilibrata per il nostro paese.
Ci porta inoltre a riflettere su quale significato abbia assunto il concetto di parità tra i generi.
Da qui la preoccupazione vera, che riteniamo il punto fondamentale su cui “allertare e allertarci”, il rischio cioè che questa situazione finisca per tradursi in una distribuzione non equa delle risorse del Recovery fund, nei confronti delle donne, nonostante le indagini che cominciano ad emergere dimostrino che sono state quelle che più hanno sofferto in questi mesi di pandemia, senza contare la situazione già in molti casi svantaggiata da cui partivano. Temiamo che una distribuzione non equa delle risorse possa accentuare lo squilibrio tra occupazione femminile e maschile.
Il discorso al Senato di Mario Draghi del 17 febbraio lascia aperti ancora alcuni dubbi: certo siamo d’accordo che le quote rosa non bastano, lo abbiamo ribadito, ma ci lascia perplesse che non sia stato posto in modo esplicito il tema della pari opportunità nell’accesso al lavoro tra uomini e donne. Il ricorso a una locuzione come “parità di condizione competitive” alimenta le nostre preoccupazioni. Da associazione femminista non possiamo non temere una proposta che ripropone, a partire dal linguaggio, forme di individualismo ben diverse dal senso assunto per noi dal riconoscimento dell’individualità femminile nelle reti di relazione complesse e plurali che abbiamo voluto far vivere.
Questi alcuni degli aspetti che abbiamo voluto mettere in evidenza per contribuire alla discussione e avviare un confronto con i diversi gruppi e associazioni di donne che in questo momento stanno difendendo spazi simbolici e spazi fisici, luoghi di donne costruiti con tempo e tenacia ed ora minacciati di chiusura. La loro salvaguardia è una premessa per andare oltre nella direzione di diversa distribuzione delle risorse capace di contemperare la giustizia di genere assieme ad altre forme di giustizie.