Il 14 febbraio, nel primo pomeriggio, Anna Rossi-Doria ha raggiunto, come soleva dire da quando la malattia l’aveva colpita, l’altra sponda del fiume.
In queste ore ho pensato a lei che varcava quella soglia e a uno scritto che le era caro “La solitudine dell’io” di Elizabeth Cady Stanton. E’ un discorso del 1892 sui diritti delle donne dove Stanton argomenta con lucidità che nessuno puo’ assumere su di sé i diritti, i doveri, le responsabilità “of another human soul”, proprio perché ogni essere umano va solo incontro alla morte. Esiste una solitudine che ciascuno di noi porta dentro se stesso “more inaccessible than the ice-cold mountains, more profound than the midnight sea, the solitude of self”.
Ho conosciuto questo testo e tanti altri grazie all’opera storica di Anna. La tensione tra individualità e appartenenza alla storia profonda e stratificata delle esistenze femminili, il dilemma, per dirlo con le sue parole, tra uguaglianza e differenza sono stati al centro della sua ricerca di storica e della sua riflessione. Ha saputo coniugare ragioni e sentimenti scrivendo una nuova storia politica. Nuova certamente perché protagoniste erano le donne, i loro movimenti, ma soprattutto perché le vite, l’esperienza umana dell’essere nate donne non si separava nella sua scrittura e nel suo insegnamento dalla storia delle idee e dell’agire pubblico.
C’erano in questo anche il suo modo di vivere il femminismo e la scelta di “dare forma al silenzio”, come ha voluto intitolare la raccolta dei suoi scritti di storia politica delle donne.
Ora vengono i giorni del lutto, il confronto con la perdita dell’amica, l’indugio doloroso e solitario sui personali e intimi ricordi.
Ma subito continueremo, tutte noi che da te abbiamo imparato, la riflessione sulla tua opera, continueremo a raccogliere dai tuoi scritti, continueremo, come anche tu avresti voluto fare, la ricerca comune. Il dialogo e’ inesorabilmente venuto meno, il discorso prosegue.
Elda Guerra